La Perfetta Pittura
Se la pittoricità stessa dell’arte può prescindere dall’incidenza della pittura e dall’immanenza del colore, Alfonso Talotta, nei suoi dipinti, può far coesistere parti create e parti increate.
Le sagome vuote delle geometrie, che risultano dalla tela lasciata allo scoperto, sono pitture mai venute alla pittura. I campi vuoti sono ritagliati nel pieno della parte propriamente creata, cioè pitturata. Il nulla non è informe, ma configurato. Lo spazio generale del quadro è concepito come il limite del vuoto, e il vuoto è il disegno. Nel rapporto o opposizione tra il plenum e la forma, se il tutto è pieno, la forma è vuota, il loro rapporto non è discontinuo, chiama in causa i valori della compenetrazione e della continuità, mai della fusione. Pieno e vuoto hanno come contenuto corrispondente i concetti di pittorico e plastico, il nulla è plastico e non pittorico né pittoresco, in questo senso Talotta non lo dipinge e ne dà solo la forma, contornandone la vacuità.
Il vuoto che viene ritagliato, di conseguenza, insegna che il nulla è acromatico, cosicché vengono distinte, nel dipinto, qualità dipinte e qualità indipinte. Il pittore può dipingere anche senza dipingere, e questa è la massima astrazione.
Questo vuoto è la configurazione della realtà più apatica, incorporea, immateriale e semplice, più incolore. Possiede una virtù circoscritta e delimitata, e non era presente nel quadro fin dal principio, non esisteva prima ancora che il quadro fosse dipinto. Estaticamente non è il mondo che è creato dal nulla, ma è il nulla che è creato dal mondo. La pittura di Alfonso Talotta inverte l’assunto della creazione dal nulla. È il nulla che procede dalla creazione, non viceversa, pertanto il nulla non è a priori, ma a posteriori. Il creato precede l’increato.
Il nulla, perciò, non è nemico della forma. Nel rapporto tra forma e contenuto, il nulla ha le sue forme peculiari. Pertanto questo nulla non è sproporzionato né informe, né svaluta e dissolve la forma, anzi aspira a una forma.
Il significato procede dalla posizione relativa che ogni parte occupa nel sistema totale impostato, in un rapporto di reciproca integrazione tra la sezione nulla e quella piena. Tra questi estremi, il quadro trova sempre la via della propria unificazione.
La costruzione in apparenza è di una spazialità completamente razionale, perciò è ben correlata. In più, le parti dipinte subiscono rasature e trattamenti che le omogeneizzano alle parti in-dipinte, in modo da garantire un’uniformità di epidermide pittorica.
Talotta dipinge, dunque, anche con l’astensione, con la deficienza di pittura e con la sua astrazione. Eppure nella sua pittura tutto è pitturale, sia l’esserci del colore sia la sua assenza, sia ciò che viene dipinto sia ciò che resta indipinto, anzi l’indipinto è il disegno del quadro. In queste matrici increate Talotta supera la costituzione dell’obbligo naturale della pittura e in un certo senso denaturalizza la sostanza della pittura. L’identità di contorni così quintessenziati ma depotenziati in fatto di pittoricità è formalmente analoga alle singole realtà di fenomeni geometrici, in quanto il disegno assente è paragonabile e commensurabile alla realtà presente, essa è mostrabile, ma rigorosamente non dimostrabile, si afferma nella sua portata oggettiva, ma deve riconoscere anche la propria inevitabile parzialità e incompatibilità fisica quale alternativa al lavoro pittorico.
Il vuoto partecipa del colore che lo delimita e lo definisce, la forma astratta reagendo assume la figuratività che la incornicia. Postulare un vuoto correlato e concepire lo spazio generale come suo limite implica un uso complesso della superficie.
La pittura qui non è contro la passività, anzi la figura cruciale del quadro si realizza passivamente, e stima spettrale e troppo empirica la tintura attiva, immediata ed esaustiva. La pittura ha uno spazio di manifestazione che è una superficie mediata ed inclusiva.
Talotta esegue indagini sul mistero della concomitanza; fa confronti tra ordini di realtà, posti in reciproco rapporto. Egli vuole trovare il nodo pittorico che lega il nulla all’immagine, la coesistenza di due elementi appartenenti a due diverse dimensioni del mondo.
Si accede all’alterità di un ente pittorico che si impone pittoricamente senza far ricorso alla pittura e simultaneamente si soccorre l’estraneità della sua singolarità non dipinta, per mezzo di una pittura concomitante.
La pittura prescinde dal dipingere, cioè dall’empiricità secondo la quale la parte dipinta è solo la parte effettivamente realizzata. Nel progressivo distacco del concetto di pittura da quello di dipintura, la pittura non confonde il dipinto con ciò che è realmente dipinto, perché la pittura non collima con il reale ed effettivo dipingere. La realtà rappresentata non è unicamente quella parte che risulta autenticamente realizzata e che è comunque configurata secondo una sua oggettiva modalità fisica rispetto alla quale la pittura può elaborare differenti riflessioni. Nell’essenza riflessiva dell’attività estetica è indifferente all’arte se il suo oggetto sia stato realmente dipinto.
Anche se la figura preesiste alla verifica, essa emerge dal corso del processo come se fosse un risultato raggiunto. L’esperienza pittorica è un rapporto che non è costituito esclusivamente dalla pura attività, ma dalla capacità di una passività chiara, distinta, pressoché perfetta.
Le formazioni di Toletta, mascherate dallo zelo pittorico, vengono alla coscienza sotto forma di astensioni dalla pittura, e acquistano in tal modo sembianze di geometrie ancora più aliene.
L’evoluzione della specie dipinta avverrebbe grazie alla virtù di una certa complessità, lo stemma vuoto del dipinto è sempre plagale rispetto alla sezione autenticamente pitturata.
La complessità di rapporto tra le strutture, all’interno del quadro, è funzionale a valori estetici non conseguibili in modo ingenuo o spontaneo. L’operazione deve essere completamente concepita prima di essere prodotta. Il processo compositivo deve realizzare forme che rappresentino le posizioni o disposizioni nello spazio di figure assolute. Talotta adotta sempre le proprietà sufficienti a scongiurare l’involuzione pittorica dell’oggetto nella pura costruzione. Le superfici e gli effetti sono esiti controllati capaci di integrarsi, con la massima naturalezza, nel complesso dell’impianto, senza mai compiacersi del caleidoscopio.
Vengono ricercati criteri compositivi che predispongono nuove morfologie. Il quadro riflette un contenuto di informazioni e proprietà, esplora la possibilità di dipingere un quadro considerando unicamente regole desumibili da leggi pittoriche. È l’arte della declinazione di losanghe e fusi, variamente aberrati, in vista della trasparenza del ritaglio enfatico di una radice iconica. Hanno pari importanza la determinazione precisa del ritaglio e la relazione con il contorno.
Immagini e segni aspirano e, nello stesso tempo, sfuggono all’ideale naturalità della geometria costituita. L’immagine irriflessa è significante di per sé e non significa che se stessa. Il motivo figurale è un assunto parabolico alternativo alle forme del mondo e serve a segmentare una totalità, in cui le polarità si trasformano in intervalli, nel passaggio dello sguardo da un pieno a un vuoto e viceversa.
L’idealità è spaziare la superficie con una configurazione che prospetta la compresenza di figura e controfigura. Le regole per la coesistenza delle parti possono fornire anche una disposizione sfasata con una parte dominante e una sottodominante. La pittura spazia se stessa in applicazione a relazioni formali interne alla propria articolazione, di modo che l’arte non è altra cosa all’infuori di se stessa e vive in forza della propria costruzione, cosicché si ottiene la diversificazione costante dell’uniformità, in cui l’omogeneo è combinato con la diversità e quindi l’unità con la dualità.
Tale dialettica causa la segmentazione di una totalità che risulta composta sempre di una parte satura e una insatura. Qualcosa diventa significato grazie alla disposizione degli elementi e delle loro tinte: il contenuto è dato dallo strutturarsi stesso dei segni e delle figure, o meglio dall’autonomia che esibiscono, allorché le strutture del linguaggio artistico sono significanti di per sé e non significano che se stesse. Questa pittura è, dunque, priva di finalità, implica l’assenza di ogni intenzione e allusione, la rinuncia a ogni volontà extra-pittorica, in questo senso è pittura assoluta.
Gianni Garrera