I “TRACCIATI URBANI” di Alfonso Talotta
Ricevo spesso cataloghi di artisti a me non noti, e mai prima d’ora ho provato l’impulso di pormi in contatto con uno di loro. È avvenuto ora. Si è trattato del documento della recente mostra antologica di un artista viterbese, Alfonso Talotta. Ciò che mi ha colpito sono state alcune riproduzioni di operazioni (opere-azioni) della fine degli anni Settanta, quando l’autore aveva ventidue anni. Costruite unicamente da segni di pneumatici come ne vediamo sulla strada nei punti in cui sono rimasti impressi nell’asfalto. Confusi, incrociati, o a poco a poco distesi, a evidenziare, nei rettangoli delle tele, il parallelismo delle ruote, dall’autore inchiostrate di acrilico per forzarle a produrre queste righe di scrittura programmata.
Li ha chiamati tracciati urbani. Ha prelevato queste ritmiche criptografie direttamente dalle ruote, stendendo le tele sulla strada come bianchi sudarî. Un’azione di marca dadaista, vibratamente postpittorica, in un momento in cui la pratica del pennello era entrata in crisi; e in cui l’invasione della macchina (e, globalmente, della Macchina) aveva moltiplicato nei vari ambiti di sperimentazione novopoetica i consueti segni di allarme mascherati da ironia.
Questi tracciati urbani sono l’occupazione esterna dello spazio dell’espressione. Con la guida intenzionata del poeta della visualità, la tela diviene strada e ogni immagine è un incidente, un investimento causato dalla mano del pittore come se ad essa fosse ormai concesso solo il volante.
È stata la compatta sintesi dei vari significati impliciti, la plurima semiologia di queste opere a colpirmi. Ma anche il “tonalismo” del segno, che grazie alla sensibilità della gomma riporta tutti i lievi dislivelli e le asperità della superficie stradale. Questi tracciati hanno fissato un momento di transizione, perché presuppongono la liquidazione degli sforzi patetici di un’arte sopravvissuta a se stessa solo mediante il prefisso “trans” che l’ha mantenuta in dialisi.
Con queste immagini legate ad azione, la realtà esistenziale ha posto il proprio riconoscibile marchio nel contesto dell’espressione, così trasformandole, senza astrusi balbettamenti, in drammatico, articolabile e anche profetico simbolo dell’attualità.
Mirella Bentivoglio, 2012